Vorrei salutare e ringraziare di cuore i nostri cordiali ospiti, tutti i presenti e, non in ultimo, gli organizzatori e la giuria del premio, che hanno mostrato interesse per il mio articolo dedicato a “La zuccheriera” di Aleksandr Kušner, motivo a cui devo la mia presenza qui quest’oggi.

Kušner non è presente, pur appartenendo anch’egli alla stessa generazione di poeti di Bella Achmadulina, protagonista e fautrice simbolica della nostra festa. Anch’io appartengo a questa generazione, che sta divenendo a poco a poco preistorica: sono difatti un anno più giovane di Kušner e coetaneo di Bella Achmadulina.

Mi addentro in questi dettagli cronologici perché per uno studioso di letteratura essere contemporaneo dell’autore di cui si occupa è davvero un’esperienza carica di significato.

Scrivere di Kušner ponendogli domande, valutando le sue risposte e, talvolta, destando in lui meraviglia per qualcosa che non aveva nemmeno immaginato, ma che è pronto a confermare con gioia, ha rappresentato un’emozione spesso inaccessibile a chi fa il nostro mestiere. Difatti, per quanto si possano indagare i segreti del

l’arte di Pasternak, di Puškin, di Dante o di Orazio, non potremo certo aspettarci da loro alcun cenno di assenso.

Non ho scritto articoli su Bella Achmadulina, ma ho amato i suoi versi fin da giovane, come del resto tutta la nostra generazione. Vi è stato però un incontro interessante tra me in veste di studioso di letteratura e lei in veste di poeta, che forse merita di essere ricordato.

All’epoca, la si poteva ascoltare declamare i propri versi, e lo faceva in modo sublime, alla radio, in televisione, persino al cinema. La vidi per la prima volta dal vivo nel 1955 quando, insieme a Evgenij Evtušenko, recitarono i loro versi davanti a noi studenti della facoltà di lettere dell’Università Statale “Lomonosov” di Mosca. Ma non la conoscevo di persona.

Per un incontro personale dovetti attendere più di trent’anni. Ero emigrato già da lungo tempo in California, quando nel 1987 Bella Achmadulina, insieme a Boris Messerer, fu tra i primi a recarsi in America dopo l’inizio della perestrojka e trascorse una settimana a Los Angeles.

I membri del nostro piccolo circolo intellettuale russofono organizzarono a turno piccoli ricevimenti a casa propria, cosicché ebbi modo di osservarla meglio. A attenderci c’era inoltre la sua esibizione davanti a una sala gremita di parlanti russofoni.

Il primo incontro avvenne a casa di una conoscente comune, Alena, figlia adottiva dello scrittore Vasilij Aksenov, all’epoca già emigrato e amico di vecchia data della poetessa, che era sua ospite insieme a Boris. Mi ero presentato a Bella Achatovna come un suo affezionato ammiratore, docente di letteratura russa presso l’università locale, in altre parole ero un esponente della professione che più detestava, i critici letterari.

Ahimè, tutti noi membri di questa corporazione, non potremo mai dimenticare i ben noti versi di Bella Achmadulina:

<…> descrivo uno degli ambienti,
quando mi invitò a pranzo
un critico letterario mio conoscente <…>


Mi assicurava che la scienza,
nota al suo intelletto,
mi rivelerà quale tormento
è per il mio cuore un diletto.


Con un sorriso mesto e cordiale
Apre la porta nella luce e nel tepore
la moglie del critico letterario,
anch’ella critico letterario <…>


Letteratura respiriamo,
mentre il padrone di casa ci conduce in sala
e parla di Mandel’š
tam,
conosce anche Cvetaeva <…>


Lui, crucciandosi invano,
cercava di ammaestrare la mia ragione,
e io rispondevo gentile:
“In seguito, amico mio, quando morrò,


farà in tempo a rispondermi.
Ma come devo fare con me stessa?
Del resto prima di studiarmi
deve uccidermi”.

(“Per quanto tempo non ho dormito abbastanza…”)

Quella mattina da Alena ci portarono il giornale e Boris si mise a leggere. Si trattava di un articolo sull’Achmadulina inviato da Aksenov da Washington e apparso sulla versione russa del giornale “Panorama” di Los Angeles

Il panegirico era scritto con il consueto brio tipico di Aksenov

е in prosa ritmica basata su un celebre passaggio dell’Achmadulina relativo al suo incontro con Pasternak, dove però, al contrario, nel momento dell’incontro con il grande poeta – dopo il verso: E si può rimare prima del tuo nome?– la poetessa passava dal verso alla prosa.

Boris leggeva tuttavia con un’intonazione monotona e frettolosa, la tipica intonazione da lettura del giornale, come a dire, è tutto chiaro, hai gli elogi di Vasja Aksenov e con ciò? Allora mi feci avanti io:

– Non è così che va letto.

– Come sarebbe a dire? E come va letto allora?

Presi il giornale e mi misi a leggere scandendo il ritmo poetico. L’Achmadulina si fece più attenta e nel suo stile tipicamente aulico intonò l’aria dell’eterna vittima alterando come sempre il suono di ogni “erre” intervocalica:

– Rendi sempre le cose nel modo sbagliato. Se non fosse per il nostro rispettabile ospite, come avrei fatto a capive, che Vasja mi aveva scritto dei versi…

– Come vede, Bella Achatovna, — replicai io con una risposta da tempo pronta, — anche i critici letterari servono a qualcosa…

Qualche giorno dopo invitammo a nostra volta Bella Achmadulina a casa nostra.

A un certo punto nel corso della serata le passai per un autografo una copia del suo libro “Sogni della Georgia”. Sotto alla dedica si legge la data: 19 marzo 1987. E sul finire della serata mi decisi a porle una domanda che mi occupava la mente da tempo:

– Che ne pensa di Chodasevič?

Vladislav Chodasevič (1886 – 1939) è un grande poeta russo che nel 1922 emigrò all’estero vivendo prima a Berlino e poi e Parigi, e per questo in epoca sovietica vietato e, ai più, me compreso, sconosciuto. Uno dei suoi classici si intitola “Davanti allo specchio” (1924), scritto quando già era emigrato. I versi parlano del destino dell’uomo e, in particolare, della sorte del poeta – emigrante, e sono accompagnati da una citazione – Nel mezzo del cammin di nostra vita — appartenente a un grande esule, Dante.

La domanda era, per così dire, abbastanza provocatoria: difatti, un noto componimento dell’Achmadulina “Sono io…” è scritto con lo stesso metro, con un’intonazione e persino con un lessico simili a quelli presenti in “Davanti allo specchio”. Lei rispose:

– Ne ho una buona opinione, anche se, forse, non conosco tutto. Perché?

– Questi versi, però, forse li conosce? – Presi dallo scaffale la raccolta con “Davanti allo specchio” e iniziai a leggere: Io, io, io. Che razza di parola insensata!…

Ascoltava con viva attenzione che presto si tramutò in disarmante commozione, pur annuendo con un cenno di sincero stupore nel riconoscere una sospetta influenza:

– Eh be’?! Sa – può darsi!..

L’indomani si tenne la sua esibizione e fui io ad accompagnarla. In auto iniziai a raccontarle di quando sentii per la prima volta “Sono io…” nel 1976, a Mosca, in televisione. Aveva letto “Sono io…”, per me all’epoca non ancora contaminata dall’influenza di Chodasevič, alla fine di una serata poetica e la sua lettura riuscì a strapparmi le lacrime. Mia moglie in seguito amava raccontare di come in fondo anche uno strutturalista senza cuore possa piangere. Qualche tempo dopo alla televisione riproposero la registrazione di quella serata e i versi suscitarono inevitabilmente di nuovo le mie lacrime.

Il concerto di Los Angeles richiamò un pubblico

numerosissimo. Bella Achmadulina, cinquantenne, in un completo a pantaloni, con i tacchi, la figura curata e seducente, leggeva magnificamente. Io aspettavo che arrivasse fino a “Sono io…” pensando tra me e me a che effetto mi avrebbe fatto riascoltarla.

Finalmente giunse anche il suo turno, ma nel pronunciare: Sono io – alle due del pomeriggio / trofeo vinto della levatrice, Bella Achmadulina perse il filo, si scusò e ricominciò dall’inizio. E così per due volte, solo al terzo tentativo lesse la poesia fino alla fine. Fu forse per questo o forse per altro motivo che la ascoltai tranquillo, senza versare nemmeno una lacrima.

Sulla via del ritorno mi disse:

– Per pensave a Lei mi sono confusa.

Così la critica letteraria da me rappresentata irrompeva per la seconda vol

ta nella vita della poetessa, anche se questa volta in modo ben più banale– spietato.

Del resto, come v

еdiamo, Bella Achmadulina ha manifestato adesso il suo giudizio dai cieli dandomi l’occasione di partecipare a questa cerimonia.

Перевод Джулии Дзанголи (Giulia Zangoli)